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Il mito del campione attraversa i sogni di molti genitori. Vero? Quando parlo di questo con altri padri e madri cerco di fissarne lo sguardo. Gli occhi di solito non mentono. Tutti siamo d’accordo, all’apparenza e nelle dichiarazioni: i bambini devono giocare per divertirsi, i bambini devono giocare per apprendere il rispetto, la convivenza…
Ma non tutti sono davvero convinti di questo. Gli occhi sfuggono e, diciamolo senza appiccicose ipocrisie, non pochi dicono menzogne, altri il quesito non se lo pongono nemmeno, altri ancora riaffermano questo convincimento perché sono…  “politically correct”.
Proiezioni, sogni, frustrazioni, invadenze generano aspettative sul rendimento del proprio figlio nello sport. La via più ampia e diretta per generare ansie ed abbandoni. Il mito del campione non genera…. campioni, genera frustrazioni. Inoltre, siccome i presunti campioni vanno coltivati, difesi, favoriti a lungo nel tempo, alla fine questo mito viola proprio i diritti del bambino stesso (in primis il diritto a… non essere un campione) e dei suoi compagni dimenticati.
Cos’è allora lo sport? Questa domanda, apparentemente “filosofica”, è invece una sfida a definire il ruolo dello sport stesso nella crescita dei ragazzi e, di conseguenza, a tarare meglio il ruolo di padre, madre, educatore/allenatore.
Cosa ne pensano gli sportivi che campioni lo sono diventati davvero?
Un primo contributo alla discussione viene da Petrus François “Franco” Smith quarantenne allenatore sudafricano che dalla stagione 2009-10 è head coach della Benetton Treviso, dopo avere indossato come mediano d’apertura più volte la maglia degli Springbok e vinto due volte a Treviso il titolo italiano.

– La prima domanda, volutamente… impegnativa: cos’è lo sport e a cosa serve?
“Sport è innanzitutto un divertimento per chi lo pratica e chi lo guarda. Lo sport è anche un modo di vivere, una disciplina per preparare il corpo e la mente, ed anche uno strumento per far stare insieme le persone e creare un senso di appartenenza”.
–  Perchè un bambino dovrebbe fare sport?
“Perchè lo sport

permette al bambino di scoprire un mondo, di affacciarsi sulla vita che è dura e presenta molte prove, di sperimentare esperienze in comune con altri bambini”.
– Cosa dovrebbe proporre concretamente un club sportivo alle famiglie di bambini e ragazzi: il semplice insegnamento di una disciplina sport

iva? Momenti ricreativi? Supporto educativo?
“Un club deve proporre un senso di appartenenza, secondo il quale tutti i componenti credono in un obiettivo e lavorano per raggiungerlo. Deve proporre anche uno stile di vita sportivo, che comprende l’attività fisica, l’alimentazione, il tempo del lavoro e quello del divertimento”.
– Un valore su tutti che lo sport può trasmettere ai ragazzi nella loro crescita?
“L’equilibrio. Il ragazzo attraverso lo sport deve comprendere l’importanza di una vita equilibrata, nella quale gestire con serenità lo spazio da dedicare al lavoro, ai piaceri e alle responsabilità, perchè il tempo non sia solo passato ma vissuto pienamente”.
– Un allenatore/educatore sportivo dei bambini che caratteristiche deve avere?
“Deve avere in primo luogo l’entusiasmo e trasmetterlo ai bambini. Deve essere una persona che non si domanda ‘cosa ci posso guadagnare?’ ma che si domanda sempre ‘cosa posso dare?’. E deve avere pazienza, molta pazienza, indispensabile nell’insegnamento”.
– Cosa vedi oggi di particolarmente diseducativo nello sport?
“Purtroppo ci sono troppe pressioni sulle prestazioni, sui risultati, e gli sportivi perdono quindi il piacere di giocare. Una conseguenza molto grave della ricerca delle prestazioni e dei risultati è il doping. Al centro di tutto dovrebbe esserci sempre, invece, il divertimento dell’atleta”.